Il simbolo e il segno

 

L’impossibilità di definire il simbolo con la logica della ragione testimonia un’impossibilità linguistica intimamente connessa all’incapacità della ragione di parlare senza sopprimere la fonte stessa del suo linguaggio.1

(Umberto Galimberti)

Nel linguaggio comune, spesso i termini segno e simbolo, sono usati come sinonimi, ma essi hanno significati molto diversi.

Il segno è la relazione tra significante e significato, ovvero il rapporto tra l’espressione ed il suo contenuto, la scolastica lo definisce “qualcosa che sta per qualcos’altro”, usiamo il segno per trasmettere un’informazione, e quindi i segni sono definiti da convenzioni che li rendono adeguati a comunicare.

Nel greco, il termine “simbolo” sta per “mettere assieme”, esso evoca l’esistenza di una realtà altra che va ricomposta. In teologia le operazioni simboliche servono a colmare il divario tra lettera e spirito, le sacre scritture sono fonte di innumerevoli interpretazioni, l’uso di allegorie, riesce a rendere i contenuti comunicabili, condivisibili, ma l’uso della simbologia, non avendo un codice univoco di lettura lascia aperte infinite possibilità interpretative.

Per questo motivo il simbolo non è mai significante, ma le parole che scaturiscono dal simbolo lo sono. Corbin2 afferma che “Il simbolo non è un segno artificialmente costruito, ma è ciò che nell’anima spontaneamente si schiude per annunciare qualcosa che non può essere espresso altrimenti”. Anche Lévi-Strauss nel suo “Teoria generale della magia e altri saggi”3afferma l’irriducibilità del simbolo al segno, egli racconta che, presso alcuni popoli primitivi, con l’uso della parola “mana” si intende forza, ma anche azione o qualità, essa può essere contemporaneamente verbo, sostantivo e aggettivo, perchè è pura forma, è simbolo, e come tale può assumere qualsiasi contenuto.

Fermamente convinto della differenza profonda esistente tra simbolo e segno, Jung afferma che un segno “ha un significato fisso, essendo un’abbreviazione (convenzionale) che sta per una cosa conosciuta oppure è un rimando a quella cosa medesima”, invece, il simbolo indica un contenuto polisemico, non definibile e non convenzionale, esso “possiede numerose varianti analoghe, e più ne ha a disposizione tanto più completa e appropriata è l’immagine che abbozza del suo soggetto”4. Il simbolo è vivo per Jung solo finchè mantiene questa caratteristica, egli rappresenta tensione tra opposti, tra conscio e inconscio, tra noto e non noto, nel momento in cui il simbolo partorisce il suo significato, muore e si trasforma in segno. Dando un nome alle cose che non conosciamo ancora, compiamo “un’azione storica di assegnazione di significati”, in tal modo, il simbolo esce dal regno della magia per entrare in quello delle convenzioni, esaurisce la sua funzione di mediatore e muore.

Ogni fenomeno psicologico, per Jung è un simbolo, in quanto si suppone che significhi qualcosa che si sottrae alla nostra coscienza, ma ciò dipende anche dall’atteggiamento di chi osserva, per Jung infatti, non esistono contenuti simbolici se non per una coscienza che li crea, il simbolo non è un significato, ma un’azione che mantiene in tensione gli opposti dalla cui composizione possono nascere i processi trasformativi.

Molto diverso dal concetto di simbolo freudiano, che ha una funzione omeostatica, ovvero di ritrovare un equilibrio turbato, la funzione del simbolo junghiano è ana-omeostatica, esso suscita tensione, spinta in avanti, apre nuovi livelli energetici proteso verso un equilibrio che è sempre “oltre”, ha dunque una funzione trasformatrice.

Il simbolo è legato al concetto di archetipo, l’archetipo si può definire come un principio organizzatore della realtà a diversi livelli (culturale, sociale, biologico), esso è espressione dell’inconscio collettivo e se compare in un sogno, ha un che di numinoso, una forte carica emotiva. Il Sé è un esempio di archetipo e rappresenta l’unione degli opposti, la somma di conscio ed inconscio che si integrano nel simbolo, è quindi il centro della personalità che ha la funzione di regolatore dell’equilibrio psichico. Il simbolo è quindi, una rappresentazione archetipica fornita di energia, la sua “numinosità” proviene dall’archetipo ordinatore, che consente la trasposizione di valori psichici da un contenuto ad un altro.

 Dott.ssa Chiara Miranda

Psicologa Psicoterapeuta Gestalt Analitica

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1Galimberti U. “Paesaggi dell’anima” Saggi Mondadori Pag.26
2Corbin H. “Storia della filosofia islamica” Adelphi Pag.29

3Lévi-Strauss “Teoria generale della magia e altri saggi” Einaudi

4Carl G. Jung “Simboli della trasformazione” in Opere, Bollati Boringieri pag.128.

Bibliografia:

Aldo Carotenuto “Trattato di psicologia analiticaEd. UTET;

Carl G. Jung “Simboli della trasformazione” in Opere, Bollati Boringieri 1999;

Umberto Galimberti “Le Garzantine” Psicologia Garzanti 2005;

Umberto Galimberti “Paesaggi dell’anima” Oscar saggi Mondadori 1996.  

L’attenzione al linguaggio non verbale ed al processo corporeo nella relazione terapeutica.

degasOgni persona presenta una struttura corporea biologica derivata dall’evoluzione tipica della specie umana, questa struttura è il risultato dell’organizzazione di muscoli, tendini, ossa che sono necessari al mantenimento della posizione eretta ed al movimento e coordinazione del corpo nello spazio.

Ma se osserviamo con attenzione le persone, possiamo notare un certo grado di variazione nelle posture assunte, nella modalità di camminare, di gesticolare quando si parla, tutto questo appartiene al linguaggio non verbale del corpo, ed è estremamente importante riuscire a cogliere e interpretare questi elementi durante la relazione terapeutica, in quanto ogni persona avrà un suo modo particolare di esprimersi, come conseguenza del suo adattamento alle esperienze personali di vita.

La terapia della Gestalt si ispira agli studi fatti da Reich durante gli anni ’50, egli osservò diverse rigidità corporee nei suoi pazienti, e postulò la necessità di rimuovere queste rigidità per poter liberare le emozioni (libido) ad esse legate. Lowen con la bioenergetica ha continuato gli studi di Reich identificando diverse strutture caratteriali corrispondenti a diverse organizzazioni strutturali corporee, ma anche Lowen riteneva necessario rimuovere o modificare i blocchi energetici relativi alle tensioni muscolari sottese.

Egli riteneva che ogni stato di stress producesse una tensione nel corpo, e prescriveva specifici esercizi di respirazione e mobilizzazione del corpo per allentare le tensioni muscolari, in modo da aumentare il grounding del paziente, ovvero il suo radicamento inteso come senso di realtà. Di conseguenza, l’energia che prima era bloccata nella tensione diventava disponibile aumentando il senso di benessere del paziente. Lo scopo della bioenergetica era quello di aiutare il paziente a “lasciarsi andare” alla capacità di provare piacere, intesa come misura della vitalità del corpo.

Gli studi di Lowen, vengono poi ripresi da Perls con la terapia della Gestalt, la sostanziale differenza della terapia della Gestalt rispetto alla bioenergetica, è nella necessità di identificare la tensione rendendone consapevole il paziente, senza demolire la resistenza, ma permettendone l’espressione emotiva, infatti, ponendo attenzione alla sensazione corporea, nel qui ed ora, vivendo la pienezza dell’esperienza, il paziente può assimilare la parte scissa del Sé.

Mentre per Reich la tensione muscolare era una difesa che impediva il corso della terapia, per la Gestalt la resistenza muscolare è una funzione dell’io, una parte del Sé rinnegata ed inconsapevole.

Kepner nel suo “Body process” descrive numerosi casi clinici di psicoterapia Gestalt che include un efficace lavoro corporeo, dimostrando quanto sia utile non solo ascoltare il paziente, ma soprattutto osservarlo, e nell’osservarlo renderlo consapevole dell’uso che egli fa del suo corpo, dei movimenti anche impercettibili delle sue mani, delle sue gambe, l’intera figura del paziente diventa una metafora della sua storia, della sua modalità di essere nel mondo.

La struttura corporea può essere vista, per Kepner, come un dialogo tra le parti del Sé in conflitto, un dialogo cristallizzato perchè una delle parti ha il dominio sulle altre, il fine della terapia è ripristinare questo dialogo in modo che tutte le parti possano esprimersi e quindi integrarsi, attraverso un processo che unisce al lavoro corporeo, un lavoro sulle emozioni e sui relativi significati psicologici che mantengono quella struttura.

Primo passo della terapia è rendere consapevole il paziente della struttura assunta, si può chiedere di accentuarla, esasperandola all’estremo, provando subito dopo ad assumere la postura opposta, permettendo così al paziente di sperimentare direttamente le emozioni che si provano nelle due modalità.

A volte il terapeuta, toccando il paziente nelle parti tese, può diventare egli stesso la forza che si oppone al cambiamento di postura, incitando il paziente a assumere la postura opposta e ad esprimere verbalmente con un suono, una parola, la sua ribellione al terapeuta. In questo modo le emozioni hanno una voce, la voce del corpo che si esprime non più con il sintomo, ma con la voce del paziente stesso, la pienezza dell’esperienza che ne deriva ha il sapore della rivelazione, di una completezza che altri metodi terapeutici difficilmente riescono a raggiungere.

Da questo lavoro emerge il “tema del paziente” subito dopo il quale è necessario dare spazio al dialogo verbale ed emotivo. Kepner, insiste particolarmente su questo punto, egli spiega perchè con le tecniche che lavorano esclusivamente sul corpo come il Rolfing e la Feldenkrais dopo un po’ di tempo si perdono i benefici raggiunti: “Nell’approccio della Gestalt il movimento è considerato parte di un ciclo completo del funzionamento organismico e non si verifica separatamente dalla sensazione, dalla consapevolezza e dal contatto….l’espressione consegue al bisogno organismico ed è diretta verso il contatto con l’ambiente o il proprio sé. La cosa che ci interessa non è il movimento in se stesso, ma la sua relazione al funzionamento organismico globale”1. Lavorare separatamente in momenti diversi sulla psiche e sul corpo aumenta la scissione mente-corpo, lavorando invece contemporaneamente sui due fronti si favorisce la piena integrazione e quindi l’assimilazione dei contenuti emotivi che emergono, in tal modo l’esperienza di crescita è completa.

1James I.Kepner Body Process- Edizioni Franco Angeli (Milano-1997) pag.199.

Dott.ssa Chiara Miranda Psicologa-Psicoterapeuta

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Testi di riferimento:

  • A.Lowen e L.Lowen, “ Espansione e integrazione del corpo in bioenergetica” Astrolabio Roma,1979
  • J.Kepner ,”Body process“, Franco Angeli Milano,1997