Si può definire “diagnosi psicologica” un insieme di procedure, tecniche, conoscenze, volte a definire, descrivere, ipotizzare, il funzionamento mentale di una persona sotto i più svariati aspetti, impliciti ed espliciti, nel rispetto della complessità, molteplicità di manifestazione e variabilità nel tempo di una personalità, colta in un dato momento storico della sua esistenza, cercando di cogliere il senso che la persona attribuisce alla sua vita, non trascurando la particolare fase evolutiva in cui essa si trova, con particolare attenzione ai valori ed alle convinzioni che caratterizzano l’ambiente di provenienza e la famiglia di origine.
Da questa sintetica, e non esaustiva definizione, si può dedurre che si tratta di un compito non semplice, dove l’esperienza gioca un ruolo decisivo, affiancando al colloquio clinico, l’uso di strumenti diagnostici convalidati ed affidabili.
Lo psicologo clinico, ha spesso utilizzato, per classificare i principali disturbi psicologici, il DSM IV (attualmente è uscita la V versione), un testo di chiara derivazione medico psichiatrica, questo manuale descrive e cataloga le principali patologie psichiatriche distinguendole in assi e in sottogruppi, integrando l’indagine psichiatrica con le eventuali patologie generali che possono coesistere nel paziente avendo l’obiettivo di riuscire a stabilire una diagnosi il più possibile completa del paziente.
La dignostica multiassiale è conforme alla natura plurideterminata della psicopatologia, ed è utile ricorrervi per sistemare le osservazioni cliniche che si vanno facendo. Ma se ciò può essere adeguato nel contesto clinico della psichiatria medica, non lo è nel contesto clinico psicologico sotto il profilo del processo dialogico intersoggettivo che si sviluppa tra psicologo e paziente e che è legata a fattori come la sensibilità emotiva, l’empatia, l’intuizione, la riflessione, la cui indagine è volta a cogliere emozioni, fantasie pensieri, molte volte inconsci, scissi, che richiedono un processo interpretativo trasformativo, ovvero uno “stare con” il paziente. Questo processo è molto più complesso della semplice catalogazione nosografica, il processo diagnostico si intreccia con quello psicoterapeutico, per risolvere il conflitto tra impostazione medica intesa come “biologismo” ed impostazione psicologica, è necessario sviluppare un paradigma “biopsicosociale”.
Secondo Kernberg una diagnosi deve proporsi di superare i limiti delle diagnosi descrittive, cercando di dedurre, sulla base di osservazioni accurate, in un setting specifico, il livello di funzionamento di un insieme di indicatori capaci di rendere conto di numerosi processi emotivi, cognitivi, motivazionali e comportamentali direttamente osservabili , la sua diagnosi strutturale ipotizza tre tipi di organizzazione della personalità: psicotica, borderline e nevrotica. Essi possono essere identificati usando tre criteri:diffusione vs integrazione dell’identità, la prevalenza di meccanismi di difesa primitivi vs maturi e l’esame di realtà. A questi si affiancano il livello d’integrazione del super io, la presenza di aggressività primitiva e la forza vs debolezza dell’io. Da queste premesse, si sviluppano tutte le possibili combinazioni di patologie della personalità e le loro interrelazioni.
Negli ultimi anni è aumentato il numero di psicologi clinici che affiancano al colloquio clinico l’uso di test standardizzati per tracciare il profilo di personalità dei loro pazienti, i più utilizzati sono i questionari di personalità come l’MMPI, e le tecniche proiettive tra cui il Rorchach e il TAT, la scelta è condizionata dalla formazione del terapeuta, e dal tipo di indagine che necessita al paziente.
Particolarmente utili, per la loro semplicità di somministrazione, sono i test grafici carta e matita, molto utilizzati con i bambini, permettono di raccogliere informazioni preziose, mantenendo un’atmosfera di gioco e di familiarità con il terapeuta, che può interagire con modalità non formali e rigide, mettendo a suo agio il piccolo paziente.
Un test grafico che presenta molti vantaggi è il “Disegno della figura umana” di Karen Machover, esso, infatti, richiede poco tempo di esecuzione, può essere utilizzato con persone straniere o analfabete, non ha limitazioni di età, di intelligenza o di abilità artistiche, può essere molto efficace in combinazione con altre tecniche.
Si chiede al paziente di disegnare una figura umana e gli si porge un foglio bianco con una matita, al termine del compito si porge un secondo foglio chiedendo di disegnare una figura umana di sesso opposto al precedente, la consegna deve essere chiara e sintetica, senza specificare altro per non condizionare la scelta del soggetto da disegnare, si avrà cura di annotare, sul retro del foglio l’ordine di esecuzione dei due disegni che andranno analizzati insieme.
In generale, gli aspetti da valutare in un test grafico di questo tipo sono il tracciato, il gesto motorio, l’organizzazione dello spazio, il contenuto.
La prevalenza di linee curve nel tracciato, indica in genere una prevalenza della sfera emotiva su quella razionale, quindi flessibilità, estroversione, dinamismo sono le caratteristiche dominanti della personalità, mentre la prevalenza di linee dritte, indicano una dominante dell’aspetto razionale su quello emotivo, a volte un bisogno di controllo.
Anche la pressione del tratto è un elemento importante, se esso risulta leggero, può essere indice di delicatezza, senso estetico, ma può anche indicare bassi livelli di energia, una tendenza all’umore depressivo. Il tratto pesante può indicare tonicità, ma anche impulsività, mentre un tratto continuo senza molte interruzioni è espressione di fluidità, buoni confini dell’io, viceversa un tratto discontinuo può indicare carenza dei confini dell’io. Tratti molto scuri, anneriti, possono indicare presenza di ansia fino all’angoscia. Il conflitto può essere espresso in vario modo, ad esempio con la riluttanza ad eseguire il disegno, ma anche nel ricalcare con insistenza le linee, oppure ad un livello più profondo usando molte obreggiature, può essere indice di ansia.
La più patologica forma di conflitto è la trasparenza, se essa è limitata ad una specifica area funzionale, nel disegno dell’adulto, può indicare una povertà di giudizio in quell’area funzionale, ma se riguarda l’intero disegno, e non è conforme al Q.I. ed all’ambiente culturale del soggetto, può indicare schizofrenia. Anche la sproporzione può essere interpretata come significativa in termini di significato funzionale di quell’area.
Molto importante è l’organizzazione dello spazio, la posizione del disegno nel foglio, può rappresentare il modo in cui il soggetto si colloca nel mondo, disegnare sul lato sinistro della pagina indica un orientamento verso il passato e verso se stesso, mentre disegnare sul lato destro indica orientamento verso il futuro e verso l’ambiente esterno. Una tendenza a disegnare figure piccole, può indicare introversione, ripiegamento su se stessi, mentre figure grandi sono segno di estroversione, tendenza ad esprimere gli impulsi.
Infine, disegnare per prima la figura umana di sesso opposto al proprio, può indicare una certa confusione nelle identificazioni sessuali, le richieste di chiarimento fatte al momento della consegna, su quale sesso disegnare, sono anche allusive sotto questo aspetto.
Dott.ssa Chiara Miranda
Psicologa-Psicoterapeuta
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Bibliografia:
Dazzi, Lingiardi, Gazzillo, “La diagnosi in psicologia clinica” Raffaello Cortina Milano 2009, (capitoli 1-2-7-8-16-18-19)
Glen O. Gabbard “Psichiatria psicodinamica” Raffaello Cortina Editore
Karen Machover “Il disegno della figura umana”, OS