Oltre le polarità, l’equilibrio nell’integrazione.

Il funzionamento ed il senso del principio di compensazione in Jung

L’approccio concettuale di Jung, trae le sue origini dal pensiero di Freud, in particolare dal concetto di libido, che come sappiamo è centrale nella teoria freudiana, ma mentre Freud, che aveva esperienza prevalentemente di nevrotici, la considera una energia tipicamente legata alla pulsione sessuale, Jung, che vive i suoi primi anni professionali a contatto con gli psicotici, ha modo di notare che si tratta invece di una energia vitale non specifica, che coinvolge tutto il processo psichico dell’individuo e che è responsabile della formazione dei simboli. Egli riconosce i meriti di Freud e di Adler, il primo concentrato sull’oggetto, teso all’analisi del passato, il secondo concentrato sul soggetto, teso allo sviluppo delle potenzialità dell’individuo nel futuro, ma capisce che deve fare una sintesi dei due opposti, in quanto essi non si escludono, ma devono necessariamente integrarsi. Da qui egli comincia ad elaborare il concetto di tipi psicologici, ovvero riconosce che l’individuo ha in sé due polarità che si contrappongono e che formano la base della personalità individuale: l’introversione e l’estroversione. L’introverso procede dal soggetto all’oggetto, ovvero la coscienza è dentro la soggettività individuale e percepisce l’oggetto come sfondo, viceversa l’estroverso, che procede dall’oggetto al soggetto, ha la coscienza centrata sull’oggetto, avvertendo la soggettività personale come sfondo, di conseguenza, l’estroverso avrà la tendenza ad uniformarsi più facilmente alle regole sociali, avrà più faciltà di adattamento nel mondo, mentre per l’introverso ciò sarà più difficoltoso, perchè ogni scelta verrà prima vagliata dalla propria personale visione delle cose.

La personalità di un individuo, manifesta prevalentemente una di queste polarità, mentre l’altra rimane sullo sfondo, Queste due tendenze possono essere immaginate come due estremi opposti, situati su una linea immaginaria che va dalla completa introversione alla completa estroversione. Nella teoria di Jung viene descritto un meccanismo di bilanciamento tra introversione ed estroversione che prende il nome di “compensazione”. Tale meccanismo agisce egualmente sia a livello conscio che a livello inconscio, producendo una autoregolazione tra le tendenze relative all’introversione e all’estroversione, quindi, chi si presenta prevalentemente introverso a livello cosciente sarà prevalentemente estroverso nella sua parte inconscia. Al contrario, una persona che si presenta molto estroversa a livello cosciente avrà nel suo inconscio una componente fortemente introversa. Il meccanismo della compensazione è strettamente legato a quello dell’individuazione, Jung pensa che “la compensazione inconscia di uno stato nevrotico della coscienza contiene tutti gli elementi capaci di correggere efficacemente e fruttuosamente l’unilateralità della coscienza, quando questi elementi divengano coscienti, vale a dire siano intesi e integrati come realtà nella coscienza”1.

Jung osserva che ci sono due modi per procedere nello studio della personalità umana, uno analitico, che è quello adottato da Freud, dove tutto il materiale simbolico viene pazientemente scomposto e analizzato, l’altro sintetico, che invece integra il materiale simbolico in una espressione generale e comprensibile. E’ appunto a questa seconda definizione che Jung dedica la sua attenzione, infatti egli parla di amplificazione, definendola come processo mediante il quale per interpretare i prodotti dell’inconscio “non ho più ridotto, come Freud, a elementi pulsionali, ma ho posto in analogia con i simboli della mitologia…per riconoscere il significato sotto il quale essi si apprestavano ad agire…per cui è diventato possibile una riconciliazione tra la personalità cosciente e le tendenze arcaiche altrimenti incompatibili con la coscienza”2.

Nel suo saggio”Psicologia dell’inconscio” (1917-1943) Jung descrive il sogno di una sua paziente evidenziando le due modalità di interpretazione, egli sottolinea come, solo col metodo sintetico, sia possibile cogliere il significato relativamente al soggetto che sogna, liberandolo dalla realtà oggettiva esterna. Ciò rende possibile riconoscere i contenuti espressi nel sogno come parti del soggetto, per poterli successivamente integrare nel soggetto. Il sogno usa un linguaggio simbolico ricco di condensazioni, crea metafore per spiegare le quali occorrerebbero fiumi di parole, che forse non sarebbero sufficienti. Il suo è un linguaggio analogico, la sintesi gli è affine, l’analisi stravolgerebbe la sua essenza.

Per questo Jung afferma che il sogno raffigura se stesso e ha una funzione compensatrice, perché sottolinea il lato opposto e inespresso della personalità, al fine di conservare l’equilibrio. Tutti i processi inconsci, per Jung hanno una funzione compensatrice dei processi psichici coscienti, ovvero attuano un bilanciamento funzionale che può essere considerato come una autoregolazione dell’apparato psichico al fine di mantenere l’omeostasi.

L’attività della coscienza ha una sua direzione prevalente, ha necessità cioè di selezionare alcuni contenuti ed escluderne altri, ma questo relegare nell’inconscio contenuti non affini, non deve essere rigido, pur essendo inconsci, questi contenuti fanno da contrappeso all’orientamento cosciente, un’eccessiva unilateralità, provocherebbe una forte tensione, che porterebbe i contenuti ad affiorare attraverso ad esempio i sogni. In questo modo l’inconscio fornisce alla coscienza gli elementi necessari per raggiungere un adattamento.

Scrive Carotenuto: “La possibilità che la psiche umana ha di mediare la tensione che le antinomie provocano e di costruire nuove sintesi, è ciò che potremmo definire capacità simbolica, capacità cioè di tenere assieme e di spostare su un piano metaforico ciò che su un piano concreto verrebbe altrimenti vissuto come conflitto e porterebbe a lacerazioni e scissioni della coscienza”3.

Nelle nevrosi, la normale compensazione è disturbata dall’eccessivo contrasto tra contenuti inconsci e la coscienza, in questo caso la terapia analitica mira a rendere coscienti questi contenuti per ristabilire la compensazione, scrive Jung “E’ insomma come se la nostra coscienza si trovasse tra due mondi o realtà … tra loro incompatibili, e non esiste alcuna logica che le possa conciliare: l’una offende il nostro sentimento, l’altra la nostra ragione e tuttavia l’umanità ha sempre provato il bisogno di conciliare in qualche modo le due immagini del mondo … ritengo che la conciliazione tra verità razionali e verità irrazionale possa realizzarsi non soltanto nell’arte, quanto piuttosto nel simbolo perché il simbolo contiene, per sua natura, ambedue gli aspetti”4

Jung concepisce il simbolo come un motore psichico che nasconde la volontà di diventare qualcosa e che è strettamente legato al sintomo, la capacità simbolica del terapeuta permette al paziente di intravedere un senso nuovo del conflitto spostandolo su un piano metaforico per raggiungere una sintesi che vada oltre gli opposti, il simbolo media quindi tra conscio e inconscio, e nelle mani del terapeuta diventa uno strumento che consente una possibilità di compensazione a chi vive il blocco di tale funzione.

Jung distingue il trattamento analitico di una persona giovane da quella giunta alla mezza età. Nel primo caso l’analisi servirebbe ad aprire nuovi orizzonti di sviluppo potenziali, nel secondo caso avviene l’incontro con l’ombra, ovvero con tutti quei contenuti rimossi nella prima metà della vita e il cui riconoscimento può portare a veri e propri sconvolgimenti esistenziali. Lo svelamento della personalità originariamente contenuta, il dispiegamento dell’originaria totalità potenziale, ci porta a fare i conti con gli archetipi, che Jung definisce “ordinatori di rappresentazioni” o “modelli di comportamenti innati” potenti immagini mitologiche che agiscono sia nell’inconscio collettivo che in quello individuale.

Attraverso l’elaborazione cosciente delle immagini dell’inconscio collettivo, si sviluppa quella che Jung chiama la funzione trascendente, data dall’unificazione dei contrari. La funzione trascendente conduce alla rivelazione dell’uomo essenziale, mentre l’opposizione inconscia, se ignorata, provoca sintomi e situazioni che comunque interferiscono inconsciamente con la vita cosciente del paziente, la terapia quindi si pone l’obiettivo di capire e valorizzare nel miglior modo possibile i sogni e le altre manifestazioni dell’inconscio, sia per evitare il formarsi di una opposizione inconscia che col tempo può diventare pericolosa, sia per sfruttare al massimo il fattore terapeutico proprio della compensazione.

Chiara Miranda

Psicoterapeuta Gestalt Analitica
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Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.

BIBLIOGRAFIA:

  • Carotenuto A. (a cura di) “Trattato di psicologia analitica” Torino, UTET (Vol.II);

  • Galimberti U. “Le Garzantine, Psicologia” Ed.Garzanti, (1999);

  • Jung C.G. : “Opere” Torino, Bollati Boringhieri ( volumi V e VII), (1983).

1C.G.Jung Psicologia dell’inconscio, in “Opere”, ed. Bollati Boringhieri (1983) pag.112.

2Umberto Galimberti, Le Garzantine Psicologia,Garzanti Editore.

3A.Carotenuto, Trattato di psicologia analitica, vol.II, pag.421.

4A.Carotenuto, Trattato di psicologia analitica, vol.II, pag.777

Il simbolo e il segno

 

L’impossibilità di definire il simbolo con la logica della ragione testimonia un’impossibilità linguistica intimamente connessa all’incapacità della ragione di parlare senza sopprimere la fonte stessa del suo linguaggio.1

(Umberto Galimberti)

Nel linguaggio comune, spesso i termini segno e simbolo, sono usati come sinonimi, ma essi hanno significati molto diversi.

Il segno è la relazione tra significante e significato, ovvero il rapporto tra l’espressione ed il suo contenuto, la scolastica lo definisce “qualcosa che sta per qualcos’altro”, usiamo il segno per trasmettere un’informazione, e quindi i segni sono definiti da convenzioni che li rendono adeguati a comunicare.

Nel greco, il termine “simbolo” sta per “mettere assieme”, esso evoca l’esistenza di una realtà altra che va ricomposta. In teologia le operazioni simboliche servono a colmare il divario tra lettera e spirito, le sacre scritture sono fonte di innumerevoli interpretazioni, l’uso di allegorie, riesce a rendere i contenuti comunicabili, condivisibili, ma l’uso della simbologia, non avendo un codice univoco di lettura lascia aperte infinite possibilità interpretative.

Per questo motivo il simbolo non è mai significante, ma le parole che scaturiscono dal simbolo lo sono. Corbin2 afferma che “Il simbolo non è un segno artificialmente costruito, ma è ciò che nell’anima spontaneamente si schiude per annunciare qualcosa che non può essere espresso altrimenti”. Anche Lévi-Strauss nel suo “Teoria generale della magia e altri saggi”3afferma l’irriducibilità del simbolo al segno, egli racconta che, presso alcuni popoli primitivi, con l’uso della parola “mana” si intende forza, ma anche azione o qualità, essa può essere contemporaneamente verbo, sostantivo e aggettivo, perchè è pura forma, è simbolo, e come tale può assumere qualsiasi contenuto.

Fermamente convinto della differenza profonda esistente tra simbolo e segno, Jung afferma che un segno “ha un significato fisso, essendo un’abbreviazione (convenzionale) che sta per una cosa conosciuta oppure è un rimando a quella cosa medesima”, invece, il simbolo indica un contenuto polisemico, non definibile e non convenzionale, esso “possiede numerose varianti analoghe, e più ne ha a disposizione tanto più completa e appropriata è l’immagine che abbozza del suo soggetto”4. Il simbolo è vivo per Jung solo finchè mantiene questa caratteristica, egli rappresenta tensione tra opposti, tra conscio e inconscio, tra noto e non noto, nel momento in cui il simbolo partorisce il suo significato, muore e si trasforma in segno. Dando un nome alle cose che non conosciamo ancora, compiamo “un’azione storica di assegnazione di significati”, in tal modo, il simbolo esce dal regno della magia per entrare in quello delle convenzioni, esaurisce la sua funzione di mediatore e muore.

Ogni fenomeno psicologico, per Jung è un simbolo, in quanto si suppone che significhi qualcosa che si sottrae alla nostra coscienza, ma ciò dipende anche dall’atteggiamento di chi osserva, per Jung infatti, non esistono contenuti simbolici se non per una coscienza che li crea, il simbolo non è un significato, ma un’azione che mantiene in tensione gli opposti dalla cui composizione possono nascere i processi trasformativi.

Molto diverso dal concetto di simbolo freudiano, che ha una funzione omeostatica, ovvero di ritrovare un equilibrio turbato, la funzione del simbolo junghiano è ana-omeostatica, esso suscita tensione, spinta in avanti, apre nuovi livelli energetici proteso verso un equilibrio che è sempre “oltre”, ha dunque una funzione trasformatrice.

Il simbolo è legato al concetto di archetipo, l’archetipo si può definire come un principio organizzatore della realtà a diversi livelli (culturale, sociale, biologico), esso è espressione dell’inconscio collettivo e se compare in un sogno, ha un che di numinoso, una forte carica emotiva. Il Sé è un esempio di archetipo e rappresenta l’unione degli opposti, la somma di conscio ed inconscio che si integrano nel simbolo, è quindi il centro della personalità che ha la funzione di regolatore dell’equilibrio psichico. Il simbolo è quindi, una rappresentazione archetipica fornita di energia, la sua “numinosità” proviene dall’archetipo ordinatore, che consente la trasposizione di valori psichici da un contenuto ad un altro.

 Dott.ssa Chiara Miranda

Psicologa Psicoterapeuta Gestalt Analitica

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Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.

1Galimberti U. “Paesaggi dell’anima” Saggi Mondadori Pag.26
2Corbin H. “Storia della filosofia islamica” Adelphi Pag.29

3Lévi-Strauss “Teoria generale della magia e altri saggi” Einaudi

4Carl G. Jung “Simboli della trasformazione” in Opere, Bollati Boringieri pag.128.

Bibliografia:

Aldo Carotenuto “Trattato di psicologia analiticaEd. UTET;

Carl G. Jung “Simboli della trasformazione” in Opere, Bollati Boringieri 1999;

Umberto Galimberti “Le Garzantine” Psicologia Garzanti 2005;

Umberto Galimberti “Paesaggi dell’anima” Oscar saggi Mondadori 1996.