Che cosa sono le artiterapie?

“Tutto ciò che è conosciuto o sperimentato per mezzo delle immagini
e dei successivi processi cognitivi
tende a diventare una parte dell’individuo
che lo conosce e lo sperimenta”
(Arieti)

Le artiterapie si collocano nello stesso campo di tensione delle altre terapie, quello che le differenzia è l’utilizzo dichiarato delle tecniche non verbali, che diventano mediatrici e modulatrici della relazione terapeutica.
In realtà tutte le terapie possono ritenersi non verbali, in quanto implicano l’uso della mimica, della postura, della modulazione della voce e dell’espressione del volto. Inoltre i loro contenuti si dispiegano comunque come immagini, anche se narrate, esse sono infatti drammatizzazioni di situazioni fantasmatiche inconsce, vicine al linguaggio dei sogni.

Questo flusso di materiale inconscio, trova solo successivamente con l’interpretazione e quindi con l’uso della parola, una sua simbolizzazione, ovvero una forma che contiene e che offre un controllo sull’inconscio, e che dopo ancora diviene informazione razionale.
Il punto di forza delle artiterapie è nell’offrire uno strumento di espressione che non investa immediatamente il soggetto di emozioni non gestibili, o incoffessabili, ma che, attraverso il mediatore artistico, consenta una graduale espressione di se e quindi di contenere in maniera non traumatica, ma concreta e tangibile, l’espressività più disorganizzata, dando espressione pubblica, ma accettabile, anche a contenuti angoscianti o sgradevoli. Inoltre il lavorare in gruppo consente di condividere questi contenuti, movendosi in un setting che prevede ampie interazioni informali.

L’arte di narrare

L’unico problema dell’arte è raggiungere un equilibrio tra il soggettivo e l’oggettivo…l’arte ha dimostrato che l’espressione universale può essere creata soltanto da una reale corrispondenza tra universale e individuale”

(Mondrian)

Le tecniche espressive artistiche, possono essere un valido strumento di recupero del rapporto tra dentro e fuori, tra soggettivo ed oggettivo, permettendo lo svolgersi di un’ esperienza attraverso la quale il sé possa rispecchiarsi, emergere dall’informe per divenire parte integrante della personalità.

Vicino all’ idea dell’arte che cura, in particolare all’arte di narrare, è James Hillman, egli ritiene che la mente sia fondata nella sua stessa attività narrativa, dove si svelano gli Dei, modelli permanenti del nostro agire, e la capacità della psicoterapia di guarire dipende dalla sua capacità di continuare a ri-raccontarsi, di mantenere vivo il flusso delle immagini1, ascoltare le voci dell’anima, la terapia è un racconto rivolto all’ artista che è nel terapeuta e al terapeuta che è nell’artista.

Per Adler, la storia narrata dal paziente è un tentativo di dare una risposta ad una domanda: “cosa vuole l’anima?” egli afferma che ”l’anima vuole perché la sua causa finale, il suo telos, deve rimanere inadempiuto. Ogni suo movimento possiede per sua natura un fine, e tuttavia questa intenzionalità non può essere formulata”2

Nell’aspirazione ad emergere, la psiche inventa immagini e la mente la segue, ma la meta non è definita perché la via è la meta e noi siamo guariti quando la nostra meta diventa la nostra storia e noi la riconosciamo come tale.

La ricerca di senso dell’uomo è ricerca della sua anima come scintilla divina, come ritorno all’unità che era all’origine, con “Le storie che curano”, Hillman ci invita a considerare la base poetica della mente, a verificarne le profondità, abbandonandoci alle sue immagini per restituire alla terapia il “senso del vivere e del morire all’interno di un cosmo immaginale”.3

”É sempre un regalo dell’anima che apre la strada alla realizzazione del Sé. L’anima suscitatrice di illusioni, sa anche darci ciò che speriamo, ciò che immaginiamo…É l’inutilità della psicoterapia a guarire i sintomi…a farmi sperare nella potenzialità eversiva di una pratica di essa che accetti di procedere ambiguamente tra scienza e arte. Nella tensione verso l’unità e la totalità della psiche…si realizza infatti la dimensione estetica dell’analisi”.

(Basilio Reale)4

Scrive Umberto Galimberti:”Il rimosso della nostra civiltà non è l’istinto, ma il simbolo, per la sua capacità di trascendere la realtà codificata”, la terapia che usa lo strumento artistico e quindi simbolico ed estetico, permette di creare una “forma” in cui l’emozione possa essere contenuta ed espressa, in cui le rotture di senso del paziente possano essere trasformate in un dolore che si possa guardare.

“L’impossibilità di definire il simbolo con la logica della ragione testimonia un’impossibilità linguistica intimamente connessa all’incapacità della ragione di parlare senza sopprimere la fonte stessa del suo linguaggio. Ma un linguaggio costruito sulla rimozione di questa fonte è un linguaggio a cui mancano le parole per esprimerla e questa carenza non è semplice povertà linguistica, ma è essa stessa un evento simbolico, l’evento della sua dimenticanza”.5

1 Hillman afferma che il modo in cui immaginiamo e raccontiamo la nostra vita è anche il modo in cui ci apprestiamo a viverla, le nostre immagini interiori si trasformano in realtà, lo stile narrativo del paziente è fondamentale per l’analista che vuole comprenderlo profondamente, egli dice che si dovrebbero leggere i casi clinici con grande attenzione alla loro forma, al ritmo, alle metafore, perchè gli archetipi non si trovano solo nel contenuto.
2 Hillman J. Le storie che curano Raffaello Cortina Editore 2004 pag.139
3 op. cit. pag. VI (della prefazione)
4 Basilio Reale Le Macchie di Leonardo Ed.Moretti &Vitali 1998 pag.55
5 Galimberti U. Paesaggi dell’anima Arnaldo Mondadori Editore 1996 pag.26

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