Il concetto  del Sè nella teoria della Gestalt

Il concetto del Sé nella storia della psicologia ha subito molte interpretazioni, diversi autori hanno infatti evidenziato diverse sfumature. Per Winnicott il Sé si forma nello spazio transizionale della relazione con la madre, dalla capacità della madre di rispecchiare adeguatamente i bisogni primari del neonato, può svilupparsi un Sé sano, viceversa, un cattivo rispecchiamento materno è all’origine del “falso Sé” ovvero di una personalità di facciata che si crea per adeguarsi ai bisogni narcisistici della madre. Kouth si è concentrato sul narcisismo come sofferenza di un Sé inascoltato, che provoca una frammentazione della personalità nell’adulto, che la terapia cerca di sanare soddisfacendo parzialmente i bisogni rimasti inappagati. Stern ipotizza cinque sensi di Sé che si sviluppano progressivamente durante la crescita nel bambino: corporeo, nucleare, soggettivo, verbale, narrativo.

Emerge in questi autori l’idea di un sistema di comunicazione dialico tra la madre e il bambino che produce l’interiorizzazione del Sé in relazione all’oggetto o come dice Fairbairn il bambino interiorizza non l’oggetto, ma l’intera relazione con l’oggetto. Bowlby ben sviluppa questo concetto di relazione con la sua teoria dell’attaccamento, postulando l’esistenza di veri e propri schemi interiorizzati di comportamento, i “modelli operativi”, che si creano nella relazione primaria e che accompagneranno l’adulto in tutta la sua vita.

La teoria della Gestalt, parte dal concetto di omeostasi, definita come processo con cui l’organismo soddisfa i propri bisogni, bisogni che possono ovviamente essere sia biologici che psicologici, e che l’individuo cerca di soddisfare manipolando, più o meno efficacemente, l’ambiente in cui vive. Per Perls l’organismo-persona è sempre in relazione al suo ambiente e non solo organizzato intorno ai conflitti interiori. L’inibizione dell’espressione, detta retroflessione, emerge dalla necessità di ritrarsi dal contatto di fronte ad una situazione ritenuta pericolosa.

Influenzato dagli studi di Reich, il suo interesse è diretto all’esperienza che il paziente ha del corpo, ciò che lo interessa è il senso di sé del paziente. Essere in contatto con il proprio Sé significa essere a contatto con il senso reale della propria corporeità, così come l’espressione motoria del Sé deve essere in contatto con l’ambiente.

In questa ottica: “Il Sé è una funzione di adattamento creativo e l’adattamento creativo è il risultato di una complessa interazione tra organismo e ambiente nel contatto reale che tra i due si stabilisce in un luogo” (Perls).

In Gestalt, quindi, il Sé ha un significato ben preciso, diverso da Winnicott e Kout, il Sé gestaltico non è un’entità fissa, ma un adattamento creativo, dinamico, un processo specifico per ciascuna persona che caratterizza il comportamento tipico in un momento dato e in un campo dato in funzione del proprio stile personale. Il Sé rappresenta il proprio “essere nel mondo” variabile a seconda delle situazioni, il Sé si manifesta quindi nel confine tra me e il mondo, che viene anche chiamato “confine-contatto“, in questo confine noi sperimentiamo pensieri, emozioni e azioni.

A differenza di autori come Freud che nella terapia è rivolto al passato alla ricerca di cause, o di Adler che è rivolto al futuro cercando di realizzarsi superando il complesso d’inferiorità, per Perls la nevrosi è legata all’accumulo di “Gestalt incompiute, di bisogni non soddisfatti” vale a dire di difficoltà ripetute di assestamento fra l’individuo e il suo ambiente, che vanno rivissute nel “qui ed ora” , nel presente della terapia.

In particolare la Gestalt Analitica, unisce il concetto di Sé di Jung inteso come processo di individuazione, al concetto di Sé gestaltico che comprende tre funzioni: Es, Io e Personalità.
L’ES rappresenta le funzioni interne, funzioni vitali e in particolare la loro traduzione corporea (Ho fame, Ho sonno)
L’IO è una funzione attiva di scelta o di rifiuto. Si tratta della mia responsabilità personale di aumentare o limitare il contatto, di manipolare il mio ambiente in base ad una presa di “coscienza” dei miei bisogni.
La funzione PERSONALITA’ è la rappresentazione che il soggetto fa di se stesso, la sua immagine di sé che gli consente di riconoscersi come responsabile di ciò che egli sente o che fa.

Perls parla di nevrosi come disturbo di confine, ovvero come incapacità dell’individuo di trovare e mantenere il giusto equilibrio tra sé e il resto del mondo, il nevrotico si difende dalla minaccia di essere sopraffatto da un mondo onnipotente. In particolare, si parla di introiezione, proiezione, confluenza e retroflessione, come diversi meccanismi relativi al disturbo di confine.
Nella introiezione il confine è spostato dentro di noi e quindi abbiamo introiettato contenuti che non ci appartengono, nella proiezione, viceversa, spostiamo il confine fuori da noi proiettando sull’ambiente parti nostre di cui non siamo consapevoli (le parti ombra della teoria Junghiana), nella confluenza ci sono confini molto labili, quasi assenti, e nella retroflessione l’individuo è confuso con se stesso, ovvero fa a se ciò che vorrebbe fare agli altri.

Le tradizionali psicoterapie operano sulle nevrosi ricordando e reinterpretando gli eventi del passato del paziente, ma la semplice consapevolezza non è sempre sufficiente a risolvere la nevrosi, la Gestalt, concentrandosi non sui contenuti del passato, ma sulle modalità di esperienza del passato, permette di ri-esperirlo globalmente nel presente, non è importante quindi il COSA, ma il COME, perchè l’esperienza emotiva è più efficace di quella intellettuale. 1

La terapia della Gestalt focalizza l’attenzione sul processo e non sul contenuto della nevrosi, superando la dicotomia mente-corpo, attraverso l’azione e l’espressione corporea, si può avere una comprensione globale del vissuto passato. Man mano che si sperimentano i modi in cui si è interrotta la soddisfazione di un bisogno (interruzione di contatto), si comincia a sperimentare un Sé più completo. Nella terapia non va trattato il materiale censurato, ma la censura stessa, cioè la forma assunta dall’autointerruzione, il ripristino del Sé, inteso come integrazione delle parti dissociate della personalità, è la conseguenza del fatto che il paziente riesce a non interrompersi più, perchè non è più nevrotico.

Questo risultato è reso possibile dall’uso di tecniche di drammatizzazione, ponendo l’attenzione sulla respirazione, la postura e le emozioni del presente, che si manifestano nella relazione col terapeuta. Viene utilizzata la parola “ora” per sottolineare l’importanza del presente e la parola “io” per sviluppare il senso di responsabilità del paziente nei confronti dei suoi sentimenti, pensieri e sintomi. La parola “sono” fa capire al paziente che tutto ciò che sperimenta è parte del suo essere, e insieme al suo presente è parte del suo divenire. E’ nel qui-e-ora che diventiamo consapevoli di tutte le nostre scelte, è nel qui-e-ora che l’evento incompiuto è ancora vivo e presente e che aspetta di essere assimilato e integrato.

Chiara Miranda
Psicologa Psicoterapeuta
Gestalt analitica

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Glen O. Gabbard: “Psichiatria psicodinamica” Raffaello Cortina Editore
Perls F.: “L’approccio della gestalt  -Testimone oculare della terapia” Astrolabio Ed.
Robine: “Il rivelarsi del Sè nel  contatto” Franco Angeli Ed.

note:
1) la Horney, terapeuta di Perls, tratta del rapporto tra processo intellettuale ed esperienza emotiva, sostenendo che quest’ultima è il tramite più efficace per indurre nel paziente una forte percezione dell’IO ed un positivo atteggiamento di autoaccettazione.

Melanie Klein

donnalupill lavoro della Klein parte da quello di Freud e di Abraham e si svolge soprattutto attraverso le sue esperienze cliniche con pazienti bambini, con i quali era difficile stabilire il rapporto dialettico tipico della psicoanalisi freudiana che usa le libere associazioni. La Klein ebbe la geniale idea di utilizzare il gioco spontaneo del bambino, dalla cui osservazione, scaturivano tutte le sue deduzioni. La Klein non era d’accordo con Freud nel ritenere che i bambini non possano sviluppare la translazione nel rapporto analitico, ella pose la sua attenzione sull’oggetto con il quale il neonato stabilisce le sue prime relazioni, il seno materno, spostando in questo modo l’attenzione dalla teoria degli stadi di sviluppo libidico di Freud, alla teoria dello sviluppo delle relazioni oggettuali, sia con oggetti reali che di fantasia, chiamati oggetti interni.

La formazione del super-io è molto più precoce di quanto ritenuto da Freud, è parte integrante del complesso edipico e compare nella seconda metà dello stadio orale, in relazione con la cosiddetta fase depressiva.

Col complesso edipico primitivo del bambino, la klein ha svelato un mondo di fantasia e angoscia legate al corpo della madre, oggetto di desiderio ma anche di invidia, odio e paura.

A differenza di Freud, che riteneva la nevrosi infantile conseguenza della paura di evirazione, l’angoscia profonda di cui parla la Klein è connessa alle fasi orale e anale dello sviluppo e alla relazione con il corpo materno, oggetto di impulsi sadici, per controllare i quali, il bambino sviluppa fobie e ossessioni.

L’angoscia è conseguenza della pulsione di morte, gia presente nel neonato, sotto forma di aggressività che si manifesta come angoscia persecutoria, tipica della posizione schizo-paranoide e l’angoscia depressiva, propria della posizione depressiva, nel primo caso l’oggetto si trasforma in oggetto cattivo, nel secondo caso, l’oggetto rimane buono ma la paura riguarda il perdere l’oggetto buono, anziché l’essere aggrediti da quello cattivo.

Il concetto di fantasia inconscia per la Klein è espressione psichica delle pulsioni, che si realizza nel simbolismo, inteso come anello di congiunzione tra fantasia e realtà. La Isaac commenta il pensiero della Klein affermando che alla nascita esiste un io sufficiente a stabilire rudimentali relazioni oggettuali e a servirsi di meccanismi psichici primitivi come l’introiezione e la scissione, a differenza di Freud che vede la fantasia inconscia come espressione dell’Es, per la Klein è un’elaborazione dell’io dei moti pulsionali, difese e relazioni oggettuali.

La posizione depressiva, consiste nel riuscire ad insediare nel nucleo dell’io un oggetto interno sufficientemente buono e saldo, è caratterizzata dalla paura di perdere l’oggetto buono e dal senso di colpa, uniti al desiderio di riparare e ricostruire i genitori come oggetti interi e non più frammentati in oggetti parziali.

La posizione schizo-paranoide, presente dalla primissima relazione col seno materno, che precede quella depressiva, è caratterizzata dalla scissione, relazione con oggetti parziali e angoscia persecutoria, mentre nella posizione depressiva incomincia a verificarsi l’integrazione.

All’inizio della vita, si scatena una lotta tra pulsione di vita e pulsione di morte, scissione, proiezione e introiezione, sono i primi meccanismi di difesa. Sotto la pressione della pulsione di vita, l’io scinde e proietta la pulsione di morte verso l’esterno, contemporaneamente la pulsione di vita è in parte proiettata in modo da formare un oggetto ideale. Dal caos emerge un’organizzazione primitiva dove l’io si scinde in parte libidica e parte distruttiva. Quest’ultima è frammentata in tanti persecutori sadici che provocano forte angoscia e ulteriore scissione.

Nell’identificazione proiettiva, il bambino non proietta solo gli impulsi nell’oggetto ma anche parte di se, la proiezione di impulsi cattivi crea oggetti persecutori, mentre la proiezione di parti di se produce idealizzazione dell’oggetto e svalutazione del se. Il timore della disintegrazione totale è alla base dei disturbi schizofrenici e schizoidi.

Il passaggio dalla posizione schizo-paranoide alla posizione depressiva, fa la differenza tra modi di funzionamento psicotici e quelli sani, persecuzione e idealizzazione lasciano il posto ad una discriminazione realistica e a relazioni oggettuali di cui si riconoscono l’interdipendenza e l’ambivalenza. Ciò avviene perché l’io e l’oggetto, nella posizione depressiva, si integrano, riducendo così gli oggetti persecutori, la distorsione della percezione, dovuta alle proiezioni, diminuisce, e si sviluppa il senso di realtà.

Scopo dell’analisi è ridurre l’angoscia interpretando contemporaneamente angoscia e difese, conducendo l’analisi nel contesto della traslazione e interpretando il livello nel quale l’angoscia è attiva nel paziente, che proietta sull’analista oggetti che possono essere scissi, frammentati, idealizzati o distruttivi e anche parti del Se.

L’abilità dell’analista sta nel contenere tutte queste parti proiettate e le interpretazioni che le collegano, per permettere al paziente di rimettere insieme ciò che era frammentato a integrare ciò che era scisso e riprendere dentro se le parti del Se che erano state attribuite agli oggetti.

Le remote relazioni oggettuali che sono diventate la struttura del mondo interno, sono rivissute nella traslazione, e nell’essere rivissute esse evolvono. E’ questa evoluzione attraverso la traslazione, ciò che costituisce la parte dinamica del rapporto terapeutico.

Dott.ssa Chiara Miranda

Psicologa-Psicoterapeuta

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Fonte: Segal, “Melanie Klein”Boringieri editore