I bisogni narcisistici del bambino

Alla maggior parte degli individui sensibili rimane profondamente celato il loro vero Sé. Come si può amare qualcosa che non si conosce e che mai è stato amato?

Alice Miller

Per sviluppare un sano sentimento del sé, il bambino dovrebbe essere accettato :

  • Quando manifesta la sua aggressività senza che questa faccia venire meno l’autostima della madre/padre;
  • Quando i suoi tentativi di autonomia non facciano sentire minacciata la madre/padre;
  • Quando ha potuto esprimere tutte le sue emozioni, anche negative, senza essere stato giudicato sbagliato, e nemmeno essere idealizzato come figlio perfetto;
  • Quando non è stato obbligato a piacere a nessuno ed ha potuto sviluppare ed esprimere quanto si agitava in lui, in ogni fase del suo sviluppo;
  • Quando ha potuto “usare”, nel senso di Winnicott , i genitori, perchè essi erano indipendenti da lui;
  • Quando gli è stato consentito di manifestare sentimenti ambivalenti e non è stato obbligato a scindere l’oggetto buono da quello cattivo;
  • Quando è stato amato come essere separato (non amore fusionale);
  • Quando i bisogni narcisistici del bambino, pur ammettendo la frustrazione appropriata alla fase, non traumatica, hanno potuto essere integrati e non è stato necessario rimuoverli o scinderli;
  • Quando l’integrazione ha consentito che tali bisogni subissero una trasformazione e che si costituisse una matrice regolatrice delle pulsioni sulla base delle proprie esperienze di prova ed errore.

Da A.Miller, il dramma del bambino dotato Ed.Bollati Boringieri (1990)pag.49

L’immaginario nella psicoterapia

 

Nel suo saggio “L’immaginario in azione nella psicoterapia infantile” l’autrice racconta una psicoterapia svolta con un suo piccolo paziente, che presentava seri disturbi comportamentali e evidenti difficoltà a raccontarsi, l’uso creativo della plastilina consente il nascere di forme che diventano personaggi che agiscono in una storia, permettendo il passaggio dall’agire le emozioni, al racconto, alla narrazione: ”avevo tradotto in parole l’azione che si era svolta e le parole rendevano l’immagine…nel sostituire progressivamente le parole alle grida e nel tollerare che io traducessi le (sue) azioni in parole, Joel aveva effettuato un’ulteriore azione di distanziamento e simbolizzazione…restituivo a Joel una storia che aveva un filo conduttore, un senso, una memoria, ….. dopo un momento di silenzio mi dice – allora l’ho scritto io!…sono io questo!”1

E’ evidente la funzione di specchio che il bambino è riuscito trovare nello spazio terapeutico e l’importanza che questa funzione ha svolto nel suo divenire consapevole di sé e quindi la possibilità di lavorare su questa consapevolezza, ma l’uso della materia informe è stato il passaggio cruciale per far si che le emozioni manifestate in maniera disorganizzata e caotica all’inizio della terapia, diventassero ordinate in un racconto, il racconto della vita di Joel.

A differenza della Klein, che utilizzava i disegni dei bambini per interpretarli, l’autrice, vicina al pensiero di Winnicott, utilizza lo spazio creativo per permettere alla storia personale del paziente di emergere e di prendere forma posticipando l’interpretazione alla fine della terapia, ancora una volta “la via è la meta”, il fine non è l’interpretazione2, ma il dispiegarsi narrativo della storia del paziente.

1 Fabre N. L’immaginario in azione nella psicoterapia infantile Ed. Magi 2004 pag.99
2 Winnicott afferma che nelle consultazioni terapeutiche, il momento significativo è quello in cui il bambino sorprende se stesso, non è il momento dell’interpretazione. L’interpretazione data fuori dalla compiutezza del materiale, produce compiacenza , solo se vi è un gioco spontaneo e non compiacente, l’interpretazione può far progredire il lavoro terapeutico.

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