GRUPPI DI PSICOTERAPIA GESTALT ANALITICA

Il cambiamento terapeutico è un processo molto complesso, che passa attraverso  una serie di elementi che interagiscono tra loro, pertanto il risultato di questa interazione non è prevedibile e non è quantificabile, viste le molteplici variabili presenti.
La psicoterapia Gestalt analitica, trova la sua migliore espressione quando opera nei gruppi.

Nei gruppi di psicoterapia, intervengono molteplici fattori:

1. infusione della speranza

2. universalità

3. informazione

4. altruismo

5. ricapitolazione correttiva del gruppo primario familiare

6. sviluppo di tecniche di socializzazione

7. comportamento imitativo

8. apprendimento interpersonale

9. coesione di gruppo

10. catarsi

11. fattori esistenziali

Alcuni di questi fattori agiscono a livello cognitivo, altri comportamentale, altri ancora emozionale, tutti sono necessari e la loro utilità varia al variare delle persone e delle problematiche.

La speranza rappresenta la fiducia del paziente e del terapeuta in un metodo di trattamento,. Nei gruppi di auto aiuto e nei gruppi degli alcolisti anonimi, questo elemento è considerato molto importante. Nei membri di questi gruppi si radica la convinzione di poter raggiungere i medesimi risultati che altri hanno già raggiunto, e questo è quindi un fattore terapeutico molto potente.

L’universalità permette alle persone del gruppo di non sentirsi soli con i propri problemi, la possibilità di condividerli con altre persone allenta la tensione e dona sollievo al dolore ed allo stress.

Far circolare le informazioni tra membri del gruppo e tra terapeuti e gruppo, spesso risolve problemi che a prima vista sembrano insormontabili, se visti da una sola angolazione. Nei gruppi omogenei questo fattore è molto prezioso, le soluzioni di una persona possono essere adottate da altre, in uno scambio ricco e confortante.

L’altruismo mostra tutta la sua efficacia soprattutto nei gruppi psichiatrici, dove le persone sono scoraggiate e abituate ad essere di peso agli altri, scoprire di poter dare anche sostegno è un grande incentivo all’autostima.

La ricapitolazione correttiva del gruppo familiare, permette alle persone che hanno avuto una storia familiare insoddisfacente di ricreare all’interno di un contesto protetto le condizioni ideali per sperimentare le relazioni in modo nuovo e più funzionale. Spesso i gruppi sono condotti da due terapeuti uno maschio ed uno femmina per riproporre la coppia genitoriale.

Le Tecniche di socializzazione intervengono quando, attraverso i feedback dei membri del gruppo, le persone possono rivedere la propria capacità di stare con gli altri, comprendendo così la discrepanza tra ciò che intendono comunicare e l’effettivo impatto sugli altri.

Gli schemi comunicativi del gruppo vengono facilmente appresi e imitati dai membri, Winnicott affermava che noi viviamo in una “matrice relazionale”, il bambino durante lo sviluppo tende a incrementare i tratti che incontrano approvazione ed a soffocare quelli che vengono disapprovati, siamo naturalmente portati a creare relazioni imitando il comportamento degli altri, questo fattore è il comportamento imitativo.

L’apprendimento interpersonale, è basato sull’assunto che noi costruiamo la considerazione di noi stessi sulla base di valutazioni riflesse che ci provengono dall’ambiente. La “distorsione paratattica” è quella che Sullivan definisce come propensione dell’individuo a deformare la sua percezione degli altri. Attraverso la “validazione consensuale” che viene esercitata dal gruppo,

Sullivan afferma che è possibile limitare queste distorsioni e portare l’io al punto in cui il paziente appaia agli altri in modo molto simile a come egli vede se stesso.

L’importanza dell’esperienza emotiva nella terapia e la scoperta fatta dal cliente dell’inadeguatezza delle sue reazioni interpersonali attraverso l’esame di realtà, sono decisivi sia nella terapia

individuale che in quella di gruppo. Ma l’evocazione di una forte emozione (catarsi) non è sufficiente per trasformarla in un’esperienza emotiva correttiva, perché ciò avvenga sono necessarie due condizioni:

· i membri del gruppo devono avvertire abbastanza fiducia e sostegno per esprimere queste tensioni apertamente;

· devono esserci sufficiente impegno e un feedback sincero per permettere un corretto esame di realtà.

L’esperienza è correttiva se le conseguenze dell’espressione di quell’affetto non sono così devastanti come il paziente si aspettava, sperimentando la possibilità di esprimere parti di sé che non aveva il coraggio di manifestare.

Dopo un certo periodo di tempo, i membri del gruppo cominciano a interagire tra loro, come farebbero con le altre persone presenti nella loro sfera sociale, manifestando il loro comportamento non adattivo, il gruppo diviene così un “microcosmo sociale” ricco di transazioni, a questo punto i feedback del gruppo diventano particolarmente preziosi.

Per riconoscere i modelli comportamentali non funzionali, il terapeuta può utilizzare le proprie reazioni emotive, oltre ad osservare le reazioni emotive degli altri componenti del gruppo. Ma per evitare errori, (anche i terapeuti hanno i loro punti deboli) si ricorre al co-terapeuta, dal confronto delle differenti emozioni si può avere un quadro più chiaro. Inutile precisare che l’analisi individuale del terapeuta ha un ruolo fondamentale per conoscere se stessi e comprendere meglio il controtransfert, inoltre sarebbe utile fare frequenti supervisioni di gruppo almeno fino a quando non si diventa più esperti.

La coesione di gruppo si esprime attraverso la solidarietà, la difesa delle norme e del gruppo, l’aiuto reciproco, il condividere affettivamente il proprio mondo interiore con gli altri, è il senso di appartenenza al gruppo.

I fattori esistenziali nella psicoterapia sia di gruppo che individuali, non sono ritenuti essenziali da tutte le scuole di psicoterapia, ma a mio avviso sono fondamentali per dare un senso di prospettiva al lavoro terapeutico, ogni essere umano ha una storia, e dare senso alla propria vita, significa

raccontare la propria storia, prendendosi la responsabilità di decidere come condurla, accettando i nostri limiti e rendendosi conto che alla fine siamo soli con noi stessi ad affrontare le nostre difficoltà, divenire noi stessi è infine la meta più autentica che possiamo darci.

Concludo dicendo che i fattori terapeutici non agiscono nello stesso modo con tutte le persone, ognuno ritiene più importanti alcuni fattori piuttosto che altri, e questo rende l’idea di quanto sia complesso il processo terapeutico che agisce durante la terapia.

In sintesi per mettere in luce il processo, i clienti devono riconoscere ciò che stanno facendo, valutare l’impatto del loro comportamento sugli altri, esercitare la loro volontà, trasformare l’intenzione di cambiamento in decisione e la decisione in azione, infine devono consolidare il cambiamento e portarlo nella vita quotidiana.

La tecnica d’intervento varia a seconda delle scuole e degli approcci, può essere più o meno direttiva, l’importante è essere presenti nel qui ed ora del processo terapeutico, e non perderlo mai di vista. L’esperienza porta il terapeuta a notare ogni minima variazione di umore, dell’abbigliamento, degli orari, della posizione nel gruppo dei membri, degli sguardi, infiniti elementi sono significativi del processo di movimento del gruppo e meritano grande attenzione.

Nella professione è utile essere orientati alla continua formazione, all’aggiornamento ed alla ricerca, rimanendo aperti al nuovo, senza bloccarsi dentro rigide prescrizioni tecniche. Ricordiamo che la tecnica deve essere sempre al servizio del processo, e non viceversa. Infine lo stile personale del terapeuta è quel segno distintivo, particolare, che si manifesta durante il lavoro e che dipende dalla creatività di ognuno, dalla capacità di inventare soluzioni nuove usando strumenti consolidati, di contaminare differenti approcci riuscendo a tararli su misura per il paziente, adattandoli al momento presente. E’ la capacità del terapeuta di sorprendere e di sorprendersi ogni volta, come un bambino che scopre un nuovo gioco, che si trasforma in crescita emotiva per sé e per i suoi pazienti.

Testo di riferimento:

Yalom Irving: “Teoria e pratica della psicoterapia di gruppo”, Bollati Boringhieri.

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Il concetto  del Sè nella teoria della Gestalt

Sebastian LuczywoIl concetto del Sé nella storia della psicologia ha subito molte interpretazioni, diversi autori hanno infatti evidenziato diverse sfumature. Per Winnicott il Sé si forma nello spazio transizionale della relazione con la madre, dalla capacità della madre di rispecchiare adeguatamente i bisogni primari del neonato, può svilupparsi un Sé sano, viceversa, un cattivo rispecchiamento materno è all’origine del “falso Sé” ovvero di una personalità di facciata che si crea per adeguarsi ai bisogni narcisistici della madre. Kouth si è concentrato sul narcisismo come sofferenza di un Sé inascoltato, che provoca una frammentazione della personalità nell’adulto, che la terapia cerca di sanare soddisfacendo parzialmente i bisogni rimasti inappagati. Stern ipotizza cinque sensi di Sé che si sviluppano progressivamente durante la crescita nel bambino: corporeo, nucleare, soggettivo, verbale, narrativo.

Emerge in questi autori l’idea di un sistema di comunicazione dialico tra la madre e il bambino che produce l’interiorizzazione del Sé in relazione all’oggetto o come dice Fairbairn il bambino interiorizza non l’oggetto, ma l’intera relazione con l’oggetto. Bowlby ben sviluppa questo concetto di relazione con la sua teoria dell’attaccamento, postulando l’esistenza di veri e propri schemi interiorizzati di comportamento, i “modelli operativi”, che si creano nella relazione primaria e che accompagneranno l’adulto in tutta la sua vita.

La teoria della Gestalt, parte dal concetto di omeostasi, definita come processo con cui l’organismo soddisfa i propri bisogni, bisogni che possono ovviamente essere sia biologici che psicologici, e che l’individuo cerca di soddisfare manipolando, più o meno efficacemente, l’ambiente in cui vive. Per Perls l’organismo-persona è sempre in relazione al suo ambiente e non solo organizzato intorno ai conflitti interiori. L’inibizione dell’espressione, detta retroflessione, emerge dalla necessità di ritrarsi dal contatto di fronte ad una situazione ritenuta pericolosa.

Influenzato dagli studi di Reich, il suo interesse è diretto all’esperienza che il paziente ha del corpo, ciò che lo interessa è il senso di sé del paziente. Essere in contatto con il proprio Sé significa essere a contatto con il senso reale della propria corporeità, così come l’espressione motoria del Sé deve essere in contatto con l’ambiente.

In questa ottica: “Il Sé è una funzione di adattamento creativo e l’adattamento creativo è il risultato di una complessa interazione tra organismo e ambiente nel contatto reale che tra i due si stabilisce in un luogo” (Perls).

In Gestalt, quindi, il Sé ha un significato ben preciso, diverso da Winnicott e Kout, il Sé gestaltico non è un’entità fissa, ma un adattamento creativo, dinamico, un processo specifico per ciascuna persona che caratterizza il comportamento tipico in un momento dato e in un campo dato in funzione del proprio stile personale. Il Sé rappresenta il proprio “essere nel mondo” variabile a seconda delle situazioni, il Sé si manifesta quindi nel confine tra me e il mondo, che viene anche chiamato “confine-contatto“, in questo confine noi sperimentiamo pensieri, emozioni e azioni.

A differenza di autori come Freud che nella terapia è rivolto al passato alla ricerca di cause, o di Adler che è rivolto al futuro cercando di realizzarsi superando il complesso d’inferiorità, per Perls la nevrosi è legata all’accumulo di “Gestalt incompiute, di bisogni non soddisfatti” vale a dire di difficoltà ripetute di assestamento fra l’individuo e il suo ambiente, che vanno rivissute nel “qui ed ora” , nel presente della terapia.

In particolare la Gestalt Analitica, unisce il concetto di Sé di Jung inteso come processo di individuazione, al concetto di Sé gestaltico che comprende tre funzioni: Es, Io e Personalità.
L’ES rappresenta le funzioni interne, funzioni vitali e in particolare la loro traduzione corporea (Ho fame, Ho sonno)
L’IO è una funzione attiva di scelta o di rifiuto. Si tratta della mia responsabilità personale di aumentare o limitare il contatto, di manipolare il mio ambiente in base ad una presa di “coscienza” dei miei bisogni.
La funzione PERSONALITA’ è la rappresentazione che il soggetto fa di se stesso, la sua immagine di sé che gli consente di riconoscersi come responsabile di ciò che egli sente o che fa.

Perls parla di nevrosi come disturbo di confine, ovvero come incapacità dell’individuo di trovare e mantenere il giusto equilibrio tra sé e il resto del mondo, il nevrotico si difende dalla minaccia di essere sopraffatto da un mondo onnipotente. In particolare, si parla di introiezione, proiezione, confluenza e retroflessione, come diversi meccanismi relativi al disturbo di confine.
Nella introiezione il confine è spostato dentro di noi e quindi abbiamo introiettato contenuti che non ci appartengono, nella proiezione, viceversa, spostiamo il confine fuori da noi proiettando sull’ambiente parti nostre di cui non siamo consapevoli (le parti ombra della teoria Junghiana), nella confluenza ci sono confini molto labili, quasi assenti, e nella retroflessione l’individuo è confuso con se stesso, ovvero fa a se ciò che vorrebbe fare agli altri.

Le tradizionali psicoterapie operano sulle nevrosi ricordando e reinterpretando gli eventi del passato del paziente, ma la semplice consapevolezza non è sempre sufficiente a risolvere la nevrosi, la Gestalt, concentrandosi non sui contenuti del passato, ma sulle modalità di esperienza del passato, permette di ri-esperirlo globalmente nel presente, non è importante quindi il COSA, ma il COME, perchè l’esperienza emotiva è più efficace di quella intellettuale. 1

La terapia della Gestalt focalizza l’attenzione sul processo e non sul contenuto della nevrosi, superando la dicotomia mente-corpo, attraverso l’azione e l’espressione corporea, si può avere una comprensione globale del vissuto passato. Man mano che si sperimentano i modi in cui si è interrotta la soddisfazione di un bisogno (interruzione di contatto), si comincia a sperimentare un Sé più completo. Nella terapia non va trattato il materiale censurato, ma la censura stessa, cioè la forma assunta dall’autointerruzione, il ripristino del Sé, inteso come integrazione delle parti dissociate della personalità, è la conseguenza del fatto che il paziente riesce a non interrompersi più, perchè non è più nevrotico.

Questo risultato è reso possibile dall’uso di tecniche di drammatizzazione, ponendo l’attenzione sulla respirazione, la postura e le emozioni del presente, che si manifestano nella relazione col terapeuta. Viene utilizzata la parola “ora” per sottolineare l’importanza del presente e la parola “io” per sviluppare il senso di responsabilità del paziente nei confronti dei suoi sentimenti, pensieri e sintomi. La parola “sono” fa capire al paziente che tutto ciò che sperimenta è parte del suo essere, e insieme al suo presente è parte del suo divenire. E’ nel qui-e-ora che diventiamo consapevoli di tutte le nostre scelte, è nel qui-e-ora che l’evento incompiuto è ancora vivo e presente e che aspetta di essere assimilato e integrato.

Chiara Miranda
Psicologa Psicoterapeuta
Gestalt analitica

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Glen O. Gabbard: “Psichiatria psicodinamica” Raffaello Cortina Editore
Perls F.: “L’approccio della gestalt  -Testimone oculare della terapia” Astrolabio Ed.
Robine: “Il rivelarsi del Sè nel  contatto” Franco Angeli Ed.

note:
1) la Horney, terapeuta di Perls, tratta del rapporto tra processo intellettuale ed esperienza emotiva, sostenendo che quest’ultima è il tramite più efficace per indurre nel paziente una forte percezione dell’IO ed un positivo atteggiamento di autoaccettazione.